dopo l'ultimo post ho scoperto che i pochi sopravvissuti all'infarto dell'emozione, stanno ancora aspettando trepidanti notizie...
Al più presto, quando ci verrà dato il nulla osta, partiremo con dolci sorprese e novità! Come anticipato, le troverete nelle librerie, o girovagando per il BilBOlBul 2013 in quel di Bologna!
Quest'anno bellissime mostre e incontri aspettano tutti quanti noi amanti del fumetto, qui tutti i link!
E io che son di parte segnalo la bella mostra di quel gran figo di Nicolò Pellizzon, la bella mostra in punta di Bic di Liliana, la mostra Coop for Words in cui ci trovate Serena!
Ma bando alle ciance!
Questo è un post un pò di transizione, approfitto degli spazi e dell'attesa del post bomba per snocciuolarvi qualche dato. Visto che siete amanti delle statistiche e più il numero è alto più ci si diverte, ecco allora che è con enorme orgoglio posso annunciare il superamento delle diecimila visite del blog!
Alèèèè!
Ok, uno dice "Si vabè" e difatti potete ben dirlo che non mi interesserà, però un minimo di orgoglio, sempre numerico me lo mette!
Dunque io ho fatto un rapido calcolo e considerato che il primo post uscì ad ottobre del ben lontano 2010 dalle lande gelate di Amburgo, la media è di 12 visite a giorno.
Uno dice, sempre quello di prima "si vabè." e difatti può dirlo benissimo, dodici visite al giorno (senza contare le mie entrate nel blog eh!) non sono nulla e penso proprio i blog di autori bravi e più conosciuti queste cifre se le mangino (mangiano? mangano? mangiassero?) a colazione.
Però son sempre dodici persone che ogni giorno entrano nel mio blog. E da un botto di parti del mondo a quanto pare, da qui il mio pensiero che mai concretizzo di scrivere in inglese ma sono un tipo loquace e sarebbe intraducibile il soccia, in Inghilterra non lo capirebbero mai.
America, Russia, Sudamerica, Iran, Germania, Inghilterra, Spagna.
Sono, le statistiche, divertenti da consultare!
Il fatto è che io ho capito essere ben poco bravo a promuovermi. Insomma, proprio non ce la faccio a fare 'bombing' sui social network. La maggior parte delle entrate viene da Facebook, onore a lui, quando pubblicizzo i miei post. E però penso che sia necessario parlare (scrivere) solamente quando si ha qualcosa da dire. Post 'tanto per' mi sembrano alla lunga controproducenti.
Qui da me trovi solo robbabbuona!
L'autopromozione andrebbe insegnata a scuola, e chiaro è che non passa solo attraverso il 'bombing'.
Però credo che tra i blog 'amici' questo possa funzionare.
Un bel riscontro l'ho avuto dall'esperimento, tutt'ora in corso, delle illustrazioni de L'ammazzacaffè.
Molte entrate provengono infatti dai blog degli autori con i quali mi sono 'pubblicizzato a vicenda.
Si è trattato di un felice esperimento e un modo per me di approfondire l'arte di queste persone. E la parola 'arte' e 'artista' le dico con una così forte difficoltà che significa che questi a me piaccion proprio!
Alcuni ammazzacaffès sono ancora in lavorazione. Ci voglio fare una mostra, una volta.
Ne vedremo delle belle.
Oltre alla succulenta novità marzaiuola, vi devo anche aggiornare su due progetti molto concreti che partiranno in primavera (uno, già partito a dire il vero).
Ma a quelli poi, dedicherò un post apposta.
In pratica, un appost.
E niente disegni in questo post, vorrei celebrarlo in un modo insolito.
Con un racconto.
L'ho scritto per l'esame del corso di scrittura creativa, qualche tempo fa.
Parla di felicità.
Oggi sono felice.
Dite pure "si vabè".
Io, soltanto, lo sarò.
Si chiama "L'UOMO PIU' FELICE DEL MONDO"
Se volete, fatemi sapere com'è.
A presto, amici miei.
Quella mattina il buio
era un velo morbido attorno al letto.
La lavanda croccante
delle lenzuola fu il primo odore che entrò nelle sue narici. Il
pavimento sotto i suoi piedi scalzi era piacevole. Fresco.
Quella mattina non c'era
nulla di sbagliato, perché quella mattina si sentiva l'uomo più
felice del mondo.
Non sapeva bene perché,
ma sentiva la gioia dentro la pancia.
A volare con le farfalle.
Si sentiva come quando da
bambino finiva una verifica a scuola in anticipo. E in quei dieci
minuti prima della campanella, mentre i suoi compagni se ne stavano
chini sul proprio foglio, lui poteva girare per i corridoi della
scuola.
Tutti gli altri studenti
erano in classe, a scrivere di Garibaldi o ad addormentarsi su un
addizione. Ma dentro lui aveva una sensazione di consegnato, di aver
fatto il proprio dovere.
In quei dieci minuti era
il mondo che gli doveva qualcosa.
Ecco, quella mattina si
sentiva come in quei dieci minuti.
Era una fresca domenica
primaverile. Gli alberi fuori dalla finestra sembravano la casa
ideale di una coppia di rondini. Di sicuro erano innamorate, di
sicuro stavano parlando di quanti lombrichi avrebbero catturato nel
pomeriggio. Il giorno prima era piovuto e la terra era morbida.
Ma quella mattina no,
quella mattina c'era il sole.
Oggi si poteva essere
felici.
Spalancò le finestre
della camera e lasciò che la brezza mattutina lo abbracciasse.
Respirò a pieni polmoni tutta l'erba appena tagliata del vicino di
casa.
Se fosse stato un altro
giorno lo avrebbe di sicuro maledetto, ma quella domenica mattina
anche lo scoppiettio del tosaerba era al suo posto.
“Se in cambio porti
questo profumo, allora canta pure tosaerba” pensò stirandosi la
schiena.
Una tranquillità
disarmante lo riempiva.
Quanto tempo era passato
dall'ultima volta?
Era mai stato davvero
così felice?
Era il primo giorno, dopo
tanto tempo, in cui poteva permettersi di dedicarsi totalmente a se
stesso.
Poteva assicurare ad ogni
azione, a ogni gesto, il tempo necessario per godersela fino in
fondo, per non sprecarne neanche un pezzetto.
Pisciò a occhi chiusi.
Sulla bocca un sorriso. Sulla testa un raggio di sole.
Mentre l'acqua calda
riempiva il rubinetto si tolse la maglia del pigiama. Rimase a petto
nudo a guardarsi allo specchio. Si vide in forma. Neanche un'ombra di
stanchezza sotto gli occhi.
Solo i peli della barba
erano un po' troppo lunghi. Ma per quello ci aveva già pensato.
Si rase con
concentrazione, di pelo e contropelo, godendosi ogni singola passata
del rasoio sulle guance. Gli venne in mente un suo compagno di corso
dell'università. Come si chiamava?
Un giorno gli disse che
la barba va rasata la mattina, quando la pelle è ancora morbida. La
sera i muscoli della faccia si induriscono e la pelle si può
irritare. Da quel giorno non si era mai più fatto la barba di sera,
temendo chissà quali dissanguamenti. Quella mattina il rasoio
funzionava bene. Come nelle pubblicità.
Quando passava e toglieva
la schiuma la pelle, sotto, era proprio liscia.
Come si chiamava il suo
compagno? L'acqua della doccia lavò via il pensiero, insieme alle
dieci ore di sonno. Il telo opaco della doccia bloccava i raggi di
sole che entravano dalla finestra del bagno.
Sentiva l'acqua fresca
passare dai capelli e portare la pesca dello shampoo fino al buco del
culo.
In quel momento era di
acqua e pesca, totalmente schiavo del telefono della doccia.
Non poteva ricordarsi di
quando sua madre lo lavava da piccolo, ma decise che la sensazione
doveva essere senz'altro quella.
Si lavò accuratamente le
orecchie e le ascelle sotto quel meraviglioso getto d'acqua.
L'accappatoio lo avvolse come un morbido bozzolo. Mamma, sei ancora
tu?
Si recò quasi danzando
in terrazza, dove un meraviglioso sole lo aspettava. Era già
quell'orario della mattina in cui la luce comincia a scaldare.
Sentiva la pelle asciugarsi piano piano sulle guance lisce.
Una leggera brezza gli
baciava le caviglie e per due due minuti se ne restò lì. D'altra
parte, che fretta aveva?
Oggi era il re di se
stesso, oggi poteva comandare il proprio tempo.
Vado a raccontarlo
alle strade della domenica mattina quanto sono felice.
Accese il forno e andò
in camera a vestirsi.
“Come sono belle le
camicie appena lavate”, pensò la sua schiena.
Pane caldo e marmellata.
Ad ogni morso chiudeva
gli occhi, assaporando ogni singolo momento di quell'orgia di sapori
sotto al palato. Se anche il gusto era soddisfatto, che magnifica
giornata sarebbe potuta diventare?
Erano soltanto le dieci
meno un quarto di mattina e la giornata avrebbe potuto prendere
pieghe ancor più interessanti. Ma la sua unica preoccupazione al
momento era servire il proprio corpo. Era completamente immerso nei
pensieri che non aveva.
Quell'insolita sensazione
di felicità dentro la pancia, anziché diminuire, cresceva a ogni
minuto.
Casa sua era piccolina.
Se doveva pensare a casa sua se la immaginava d'inverno, quando i
muri sono grigi dal freddo e le stanze sembrano ancora più piccole.
Ma ora gli sembrava perfettamente naturale vedere i granelli di
polvere scaldarsi nell'aria calda di un raggio di sole.
Casa sua gli parve
bellissima.
Si lavò i denti passando
lo spazzolino in tutti i modi che negli anni i vari dentisti gli
avevano suggerito. Il suo preferito riempiva di minuscoli schizzi
bianchi lo specchio.
Il pettine uccideva i
pochi nodi dei suoi capelli lisci e gli faceva venire i brividi
dietro alle orecchie.
I mocassini marroni si
intonavano con la camicia azzurra.
Il collo era profumato.
Gli spiccioli per il
caffè e l'aperitivo erano in tasca.
Le chiavi di casa salde
in mano.
“Bum!” disse la porta
di casa incitata dal vento.
Si vide riflesso nella
vetrina del supermercato chiuso. In sella alla sua Legnano sembrava
un cavaliere. Il cavaliere più felice del mondo.
Le maniche della camicia
tirate fino ai gomiti.
Il vento tra i peli delle
braccia.
La mattina volgeva al
caldo, ma la brezza da bicicletta stemperava l'alta temperatura.
Sentiva le ascelle fresche. Ogni tanto l'ombra di un palazzo gli
provocava piccoli brividi lungo la spina dorsale.
Aveva lasciato gli
occhiali da sole a casa per godersi appieno le luci della domenica
mattina. Non voleva nulla trai suoi sensi e il mondo.
Continuò a pedalare in
direzione della piazza. La domenica mattina c'era sempre un gran
fermento, tra la chiesa e il bar. Generalmente stava a letto fino a
tardi, per recuperare il sonno che lasciava in ufficio ogni mattina.
Ma finiva sempre che se ne stava in casa tutto il giorno davanti alla
tv. Senza una doccia, senza una donna.
Non conosceva molta gente
in paese. Il paese per lui era solo una scusa per dormirci. Lavorava
in città.
Quella mattina tutto
sembrava fatto apposta per lui. Si sentiva amico di chi non
conosceva, poteva essere uno di loro.
“Se ti do la biglia di
Bugno posso giocare a nascondino? Conto io.”
Incrociò una signora in
bicicletta e senza accorgersene le sorrise. Le poche nuvole nel cielo
servivano solamente a rendere più azzurro il resto. Una nuvola prese
la forma di... di che cosa?
Pasqua 1978, il
coniglietto di peluche dentro l'uovo. Una nuvola prese la forma di un
coniglietto.
Da una finestra usciva
una musica francese cantata da un italiano.
I pedali scivolavano
leggeri sotto i mocassini.
Il bar è affollato.
Mille voci si annodano tra loro, formando un sottofondo allegro e
vivo. I diversi profumi da domenica lo colpiscono a raffica.
Eccoli gli amici mai
incontrati.
Il bancone offre
qualsiasi tipo di verdure e affettati immolati all'aperitivo. Sono
solamente le undici di mattina, ma il bianco frizzante già scorre a
fiumi.
Il bar è uno spettacolo
di colori di aperitivi, crodini, cravatte e fiori sulle gonne.
Tu entra solo in un bar
la domenica mattina e per forza la gente ti guarda. Devi saperla
portare, la solitudine in un bar. E lui sapeva farlo.
Annuiva agli sguardi di
quegli sconosciuti regalando sorrisi sinceri. Mica quelle cose tirate
da fotografia. Erano i sorrisi che pescava tra le farfalle dello
stomaco.
Sentiva la sua felicità
rimbalzare sulle decine di braccia dentro a quel bar, e tornargli
addosso come un dolce boomerang. Conquistò finalmente il bancone del
bar. Alla sua sinistra la vetrinetta delle paste, alla sua destra un
signore più o meno della sua età. Rideva con sconosciuti. Aveva una
banconota in mano, un pezzo grosso. La barista gli stava dando le
spalle. Tagliava cubetti di mortadella e lui non poté fare a meno di
guardarle il culo.
Gli sembrava un piccolo
cuore gonfio rovesciato. Una piccola scarica elettrica tra le cosce,
il ricordo che vola da due ragazzi sdraiati in mezzo alla campagna.
Nel ricordo tutto è rosso.
Quella volta però non
era felice come quella mattina.
“Che cosa beve?”
Si accorse di avere gli
occhi chiusi e un poco si vergognò.
Di fronte a lui ancora il
culo. Non capiva.
“Si offende, se le
offro da bere?”
La voce veniva da destra.
Dall'uomo con la banconota.
Si girò e vide trentadue
denti bianchissimi. Che sorriso.
“Davvero, beve
qualcosa?”
Si rese conto solo
qualche secondo dopo della situazione.
Era dentro un bar di
domenica mattina, era l'uomo più felice del mondo e uno sconosciuto
gli stava offrendo da bere. Lui in realtà era entrato con l'intento
di bere un caffè. Fumare una sigaretta davanti al bar, magari.
“Buongiorno! Cosa le
do?”
La voce graffiante della
barista lo riempì.
Confusione.
Balbettò qualcosa, ma il
signore sorridente lo salvò dall'imbarazzo.
“Campari e vino? Lo
beve? Allora due Campari e vino, grazie!”
“Perfetto, arrivano
subito!”
“E' già il terzo, se
lo scopre mia moglie mi ammazza!”
Sorriso di rimando a
quella battuta.
“Piacere, Claudio.”
dissero quei trentadue denti bianchissimi.
“Piacere, sono ...”
“Ecco i Campari e
vino!” La barista li interruppe con un sorriso in volto e due
bicchieri in mano.
Il Claudio lo prese per
un braccio con un gesto da amico di lunga data.
“Eccoli. Andiamo a
sederci fuori, staremo più comodi.”
Era davvero una giornata
speciale. Tutto era più colorato del solito fuori e dentro di lui.
Un nuovo amico gli stava offrendo l'aperitivo.
Avrebbero parlato del
campionato di calcio, dell'estate alle porte e di quelle cosce appena
uscite da Messa. Si sarebbero trovati subito, quella giornata era
nata così bene. Era felice. Perché non offrire anche a quel suo
nuovo amico di nome Claudio un po' del suo bene? Di sicuro il secondo
giro lo avrebbe pagato lui.
Claudio si sedette con
naturalezza, senza impacci. Si vedeva che quello era un po' il suo
regno. Come del resto lo era di tutta quella gente.
“Una bella sigaretta è
proprio quello che ci vuole. Tu fumi? Oh, posso darti del tu, vero?”
“Ci mancherebbe altro!
Comunque si, fumo. Anzi, avresti da accendere?”
Il Claudio gli porse il
fuoco col gesto di chi ha acceso sigarette a qualunque ragazza. O di
chi è tuo complice. Da lui poteva solo imparare.
La prima boccata di fumo
insieme al primo sorso di alcol gli provocarono un leggerissimo
capogiro.
Non fumava molto, qualche
sigaretta dopo il caffè e i pasti. Ma quel giorno poteva concedersi
qualche Diana in più.
Se per te oggi è
festa, caro il mio Signore, beh, lo è anche per me.
Le goccioline del
bicchiere tra le dita. Una sigaretta tra le labbra.
“E' strano vedere
qualcuno da solo, al bar, la domenica mattina. Abiti qui?” la
domanda del Claudio gli uscì dalla bocca insieme al fumo.
“Si, abito dietro al
campo da calcio. La nuova zona residenziale, presente?”
“Si, certo.”
“Ci abito da un paio
d'anni, ma lavorando in città finisce che ci dormo solamente.”
“E in città dove
lavori?”
“In Regione. Due
palle.”
“Non ti piace?”
“Ma si, alla fine ho
studiato per quel tipo di lavoro. E' che è sempre tutto uguale.”
“Abiti solo?” Se
divento troppo indiscreto mandami a cagare, senza remore! Tendo a
farmi un sacco di affari degli altri!”
“No, tranquillo, non
importa. Comunque si, abito da solo.”
Il loro tavolino
all'ombra gli premetteva di godersi appieno la sigaretta e la
conversazione. Era veramente una bella situazione. Come se Claudio
fosse suo amico da sempre.
“E sei felice?”
Come quando la canicola
di giugno ti porta due minuti di grandine. La domanda lo colpì in
piena pancia. Certo che era felice. Come poteva non esserlo, in una
mattina come quella?
Il Claudio, di fronte a
lui, aspettava una risposta, sputando un po' di fumo.
“Se ti dico una cosa,
prometti di non ridere?”
“Beh, certo che si.”
gli rispose il Claudio. I denti sempre incorniciati in un sorriso
sicuro.
“Vedi, stamattina mi
sono svegliato bene, non so come dire. Felice. Ma tanto. Come un
bambino.”
“Interessante. Vai
avanti.”
“Ecco, è difficile da
spiegare. Hai presente quando tutto sembra al suo posto e l'unico
pensiero è decidere come riempire la giornata? Nello stesso tempo
però sei sicuro al cento per cento che qualsiasi scelta tu faccia
sia la migliore.”
Claudio sorrise.
“Lo so bene.”
“Oggi mi sento proprio
l'uomo più felice del mondo. Scusa, per le divagazioni. Tu invece
che fai?”
Claudio spense la
sigaretta con una carezza, la piccola colonna di fumo si interruppe
subito.
Ma come fa?
“Io non lavoro, io vivo
bene. E sai perché? Perché sono io, l'uomo più felice del mondo.”
Un profumo di soffritto
gli raggiunse il naso. Immaginava la signora che impaziente attendeva
l'arrivo del resto della famiglia davanti ai fornelli.
“Ma dimmi una cosa.”
continuò il Claudio interrompendosi per un sorso di Campari e vino.
Lo aveva quasi finito.
“Tu di che categoria
sei?”
Un cubetto di ghiaccio
che sbatte contro l'incisivo.
“Scusa, Claudio. Credo
di non aver capito.”
“Dicevo, di quale
categoria?”
“Non capisco.”
“Di che categoria di
felicità sei?”
La mano cominciava ad
inumidirsi dentro la tasca. Trova l'accendino. Eri nascosto lì,
allora.
“Ho capito. E' la prima
volta.”
“Che?”
In quel momento le
bollicine del vino cominciarono la loro scalata in direzione della
parte occipitale del suo cranio. Scosse. Di cosa diavolo stava
parlando il Claudio?
“Vedi, esistono diverse
categorie di felicità. Si parte tutti dalla zero. E' una cosa
abbastanza democratica, se ci pensi.”
Le scosse diventarono
svarioni. La bocca del Claudio continuava a muoversi.
“Col passare del tempo,
si ha la possibilità di scalare, queste categorie. L'ultima è la
cento, ma per ora non ci è arrivato nessuno. Io ci sono quasi, sai.
Novantotto.”
La sensazione di essere
preso in giro si realizzò sotto forma di un sorriso tremolante sulle
sue labbra. Il vino, come il gendarme che accompagna al boia,
spingeva dolcemente quella sua smorfia.
“Che poi ci sono
categorie che ne sbloccano altre. Per esempio, il bacio di una donna
amata ti permette di raggiungere le emozioni delle attese
interminabili, delle carezze, dell'amore fatto alla mattina o del
panno che d'inverno copre la pelle sudata. Scatole cinesi. Ecco, la
felicità sono cento scatole, una dentro l'altra.”
La mano continuava a
giocare con l'accendino dentro la tasca. Lo afferrò forte e si
accese la seconda sigaretta della giornata.
“Tu probabilmente sei
alla quinta, forse sesta categoria. Sarai all'erba tagliata o gli
uccellini che amoreggiano. Magari oggi ti sembra di aver già
soddisfatto tutti e cinque i sensi.”
Un matto. Non stava
scherzando, il Claudio. Era proprio matto. Uno di quei benestanti che
si inventano questi giochetti per trovare gente che gli scopi la
moglie davanti agli occhi. La sigaretta stava bruciando più in
fretta del solito. Ma come diavolo faceva a sapere tutte quelle cose
di lui?
“Scusami, sai. Tendo a
straparlare, te l'ho detto. Forse ti ho spaventato. E' successo anche
a me, la prima volta che mi son sentito davvero felice. Ne avevo
quasi paura.”
“Scusa, ma proprio non
ti seguo. Non sono abituato a bere di mattina!”
“Guarda, è semplice.
La gente è convinta che la felicità sia una specie di nuvola che
ogni tanto ti piove in testa. Senza forma, senza concretezza. Invece
no. Non c'è nulla di più sistematico come la felicità.”
I tre aperitivi dovevano
aver fatto sbroccare completamente quell'uomo ben vestito, così
sicuro, così sorridente. La conversazione stava diventando tortuosa,
piena di curve cieche. Però così interessante. Insomma, chi c'era a
casa ad aspettarlo? Da quanto tempo non parlava di cose che non
fossero conti e concorsi? Claudio doveva essere un tipo a posto.
Semplicemente un po' troppo ubriaco.
“Ti spiace se te ne
offro uno io, questa volta?”
“Ci mancherebbe altro.
Però scusami, vado in bagno un momento. Pisciata trattenuta a lungo
e poi mollata, categoria numero quattro.”
Guardò Claudio
scomparire tra la gente e fermò la cameriera. Ordinò altri due
Campari e vino e se ne restò a lasciare dondolare la sua testa
sull'amaca del bianco frizzante.
Quelle parole gli avevano
messo un sacco di pensieri, nonostante tutto. Solo alla sesta
categoria? Dai, impossibile.
Sono stato felice in
passato. La laurea, le promozioni sul lavoro. Quel tramonto in
campagna. Nella sua testa tutto si colora di rosso. I due ragazzi
sdraiati nella campagna non si parlano. Il sole sta calando. I
contorni sono sfuocati.
Era la felicità quella?
Insomma, la laurea l'aveva inseguita per otto lunghi anni e la
scrivania in Regione era quella di suo padre. E quel tramonto?
Il profumo del Claudio
arrivò seguito dal suo proprietario.
“Ah, è già arrivato.
Brindisi!”
Non si era accorto che la
cameriera aveva già appoggiato i bicchieri sul tavolo, insieme a
delle patatine. Che figura. Aveva tenuto gli occhi chiusi tutto il
tempo.
“Salute.” disse
rivolto al suo sorridente partner di aperitivo. La gente di sicuro lo
stava guardando con curiosità. Il forestiero che parla con Claudio,
di sicuro lo stravagante del paese. E guarda quelle due lì. Un'altra
leggera scossa dentro ai pantaloni.
“Sguardo malizioso
ricambiato. Categoria diciassette!”
Che tipo Claudio. Ora il
suo obiettivo era solo capire fin dove sarebbe potuto arrivare.
Cos'altro avrebbe inventato.
“Probabilmente mi hai
preso per scemo, ubriaco o fuori di testa. Forse ti ho spiegato
troppe cose che giustamente dovresti scoprire piano piano. Però fa
sempre piacere trovare persone felici davvero. Appena ti ho visto al
bar ti ho notato subito. Quelli là dentro ridono per finta. Tu
camminavi in un sorriso.”
“Beh, grazie.”
“Solo non capisco cos'è
che ti blocchi.”
“Cioè?”
Claudio afferrò la fetta
di arancia del bicchiere e se la portò alla bocca.
“Cos'è che ti blocca
le categorie.”
Claudio succhiò forte
dall'arancia.
“Insomma, sei giovane,
ben vestito, economicamente indipendente. Non capisco che cosa ti
blocchi in una categoria così bassa.”
Le patatine lo stavano
salvando dal naufragio alcolico nello stomaco vuoto.
“Guarda, sinceramente
non avevo mai considerato la felicità in questo modo. Però giuro
che ci penserò seriamente d'ora in poi!”
“Ma io non sto mica
scherzando, sai? Io parlo sul serio. E fermarsi un momento a pensare
a sé stessi è un esercizio che bisogna fare, ogni tanto. Ma non nel
senso del rasarsi o del bagnoschiuma alla pesca che ti carezza.”
“Come fai a sapere
della pesca?”
“E' l'odore che fai.”
Claudio sorrise e alzò
il bicchiere sempre più orfano del suo contenuto. Beveva davvero
velocemente. Il suo sguardo si fece serio.
“Vedi, quando capisci
cosa veramente non va, nella tua vita, allora si che puoi cominciare
a costruire una controffensiva adeguata. Quando lo capisci, puoi
riparare e ricostruire. Lasciatelo dire da me, che ci sono quasi.”
Il vino mischiato col
Campari e con le parole di Claudio lo avevano zittito. Finì il suo
bicchiere e lo appoggiò vicino all'altro vuoto. Si sentiva stordito.
E non sapeva a chi dare la colpa di quella sensazione. Colpa?
“Accidenti, è già
mezzogiorno. Devo andare a prendere mia moglie fuori dalla chiesa.
Abbiamo il pranzo con la famiglia. E' il compleanno di mio figlio,
oggi lo porto al maneggio. Facciamo un giro a cavallo, poi a giocare
con gli aquiloni!”
“Bello. Io a cavallo
non ci sono mai andato.”
“Dovresti. Quello ti
sblocca la ventiquattro.”
Claudio si alzò. Sistemò
le sigarette e l'accendino in tasca. Indossò gli occhiali da sole.
Chissà dove li teneva.
“A proposito, tra una
cosa e l'alta non ti ho neanche chiesto come ti chiami! Che
figura...scusami!”
“Ah, già! Sono...”
“Anzi no, non dirmelo.
Voglio riconoscerti solamente dalla felicità. Di sicuro ci
incontreremo un'altra volta. Ci presenteremo ancora, per avere una
scusa da festeggiare!”
“Facciamo così
allora.”
“Però promettimi di
essere già ad un livello più alto. Voglio almeno una categoria
trenta, eh!”
“Ci proverò. E
comunque in bocca lupo per la tua cento! A proposito, cosa succede
quando arrivi alla cento?”
Claudio gli porse la
mano.
“Stretta di mano di un
nuovo amico. Dodici.”
“Non mi hai risposto.”
“Quando arriverò alla
cento ti inviterò sicuramente alla festa. E' stato un piacere.”
“Anche per me.”
Guardò Claudio
allontanarsi. La gente stava scappando a cuccia, a mangiare. La
cameriera spazzava tutte le patatine uccise. Pagò, uscì dal bar e
salì sulla Legnano.
“Portami a casa”, le
disse.
I due ragazzi sdraiati in
mezzo alla campagna non si guardano. Vicino a loro due birre finite,
un pacchetto di Lido, fazzoletti pieni di lacrime. Un walk-men nero,
una panno blu, il cielo rosso.
Lei si alza. Ormai non
c'è più nulla da dirsi.
Comincia a camminare
senza girarsi. La testa china in avanti. La sua schiena diventa
sempre più piccola. Si porta un braccio al volto. Singhiozza.
E comincia a correre.
Aprì gli occhi ed era
tutto buio. La lavanda era ancora lì, intorno a lui. Girò la testa
verso la sveglia. I numeri luminosi dicevano ventuno. Si alzò e
rimase seduto sul bordo del letto. Si accorse di essere in mutande. I
vestiti sparsi in terra.
Il bar, le voci, il
Campari, Claudio.
Non aveva neppure
pranzato. Un brontolio dalla pancia glielo ricordò. Rimase lì in
attesa. Di che cosa non lo sapeva. Forse che gli effetti del sonno
pomeridiano lo lasciassero libero.
Qualche immagine della
mattinata ogni tanto lo raggiungeva.
Ma non aveva voglia di
alzarsi. Stava lì, seduto.
Fuori il sole era già
scomparso. Gli uccellini non cantavano più. A dire il vero c'era
solo il silenzio.
La pancia brontolò
nuovamente.
Una sirena lontana,
chissà chi porti, chissà dove vai.
Chiuse gli occhi e vide
tutto rosso.
“Abbracciami forte,
mamma.”
Dagli occhi, cento
lacrime.
cercare su google "fumetto relatore tesi coniglio volpi"... e trovare un racconto delizioso! grazie!
RispondiEliminama coniglio volpi è il nome dei relatori? :)
Eliminagrazie mille a te, anonimo amico!
stay tuned!
Simone