martedì 22 gennaio 2013

L'uomo più felice del mondo

Bentrovati, amici gennaiuoli de L'ammazzacaffè!
dopo l'ultimo post ho scoperto che i pochi sopravvissuti all'infarto dell'emozione, stanno ancora aspettando trepidanti notizie...
Al più presto, quando ci verrà dato il nulla osta, partiremo con dolci sorprese e novità! Come anticipato, le troverete nelle librerie, o girovagando per il BilBOlBul 2013 in quel di Bologna!
Quest'anno bellissime mostre e incontri aspettano tutti quanti noi amanti del fumetto, qui tutti i link!
E io che son di parte segnalo la bella mostra di quel gran figo di Nicolò Pellizzon, la bella mostra in punta di Bic di Liliana, la mostra Coop for Words in cui ci trovate Serena!

Ma bando alle ciance!
Questo è un post un pò di transizione, approfitto degli spazi e dell'attesa del post bomba per snocciuolarvi qualche dato. Visto che siete amanti delle statistiche e più il numero è alto più ci si diverte, ecco allora che è con enorme orgoglio posso annunciare il superamento delle diecimila visite del blog!

Alèèèè!
Ok, uno dice "Si vabè" e difatti potete ben dirlo che non mi interesserà, però un minimo di orgoglio, sempre numerico me lo mette!
Dunque io ho fatto un rapido calcolo e considerato che il primo post uscì ad ottobre del ben lontano 2010 dalle lande gelate di Amburgo, la media è di 12 visite a giorno.

Uno dice, sempre quello di prima "si vabè." e difatti può dirlo benissimo, dodici visite al giorno (senza contare le mie entrate nel blog eh!) non sono nulla e penso proprio i blog di autori bravi e più conosciuti queste cifre se le mangino (mangiano? mangano? mangiassero?) a colazione.
Però son sempre dodici persone che ogni giorno entrano nel mio blog. E da un botto di parti del mondo a quanto pare, da qui il mio pensiero che mai concretizzo di scrivere in inglese ma sono un tipo loquace e sarebbe intraducibile il soccia, in Inghilterra non lo capirebbero mai.
America, Russia, Sudamerica, Iran, Germania, Inghilterra, Spagna.

Sono, le statistiche, divertenti da consultare!
Il fatto è che io ho capito essere ben poco bravo a promuovermi. Insomma, proprio non ce la faccio a fare 'bombing' sui social network. La maggior parte delle entrate viene da Facebook, onore a lui, quando pubblicizzo i miei post. E però penso che sia necessario parlare (scrivere) solamente quando si ha qualcosa da dire. Post 'tanto per' mi sembrano alla lunga controproducenti.
Qui da me trovi solo robbabbuona!
L'autopromozione andrebbe insegnata a scuola, e chiaro è che non passa solo attraverso il 'bombing'.
Però credo che tra i blog 'amici' questo possa funzionare.
Un bel riscontro l'ho avuto dall'esperimento, tutt'ora in corso, delle illustrazioni de L'ammazzacaffè.

Molte entrate provengono infatti dai blog degli autori con i quali mi sono 'pubblicizzato a vicenda.
Si è trattato di un felice esperimento e un modo per me di approfondire l'arte di queste persone. E la parola 'arte' e 'artista' le dico con una così forte difficoltà che significa che questi a me piaccion proprio!
Alcuni ammazzacaffès sono ancora in lavorazione. Ci voglio fare una mostra, una volta.
Ne vedremo delle belle.

Oltre alla succulenta novità marzaiuola, vi devo anche aggiornare su due progetti molto concreti che partiranno in primavera (uno, già partito a dire il vero).
Ma a quelli poi, dedicherò un post apposta.
In pratica, un appost.

E niente disegni in questo post, vorrei celebrarlo in un modo insolito.
Con un racconto.
L'ho scritto per l'esame del corso di scrittura creativa, qualche tempo fa.
Parla di felicità.
Oggi sono felice.
Dite pure "si vabè".
Io, soltanto, lo sarò.

Si chiama "L'UOMO PIU' FELICE DEL MONDO"
Se volete, fatemi sapere com'è.
A presto, amici miei.







Quella mattina il buio era un velo morbido attorno al letto.
La lavanda croccante delle lenzuola fu il primo odore che entrò nelle sue narici. Il pavimento sotto i suoi piedi scalzi era piacevole. Fresco.
Quella mattina non c'era nulla di sbagliato, perché quella mattina si sentiva l'uomo più felice del mondo.

Non sapeva bene perché, ma sentiva la gioia dentro la pancia.
A volare con le farfalle.
Si sentiva come quando da bambino finiva una verifica a scuola in anticipo. E in quei dieci minuti prima della campanella, mentre i suoi compagni se ne stavano chini sul proprio foglio, lui poteva girare per i corridoi della scuola.
Tutti gli altri studenti erano in classe, a scrivere di Garibaldi o ad addormentarsi su un addizione. Ma dentro lui aveva una sensazione di consegnato, di aver fatto il proprio dovere.
In quei dieci minuti era il mondo che gli doveva qualcosa.
Ecco, quella mattina si sentiva come in quei dieci minuti.
Era una fresca domenica primaverile. Gli alberi fuori dalla finestra sembravano la casa ideale di una coppia di rondini. Di sicuro erano innamorate, di sicuro stavano parlando di quanti lombrichi avrebbero catturato nel pomeriggio. Il giorno prima era piovuto e la terra era morbida.
Ma quella mattina no, quella mattina c'era il sole.
Oggi si poteva essere felici.
Spalancò le finestre della camera e lasciò che la brezza mattutina lo abbracciasse. Respirò a pieni polmoni tutta l'erba appena tagliata del vicino di casa.
Se fosse stato un altro giorno lo avrebbe di sicuro maledetto, ma quella domenica mattina anche lo scoppiettio del tosaerba era al suo posto.
“Se in cambio porti questo profumo, allora canta pure tosaerba” pensò stirandosi la schiena.
Una tranquillità disarmante lo riempiva.
Quanto tempo era passato dall'ultima volta?
Era mai stato davvero così felice?
Era il primo giorno, dopo tanto tempo, in cui poteva permettersi di dedicarsi totalmente a se stesso.
Poteva assicurare ad ogni azione, a ogni gesto, il tempo necessario per godersela fino in fondo, per non sprecarne neanche un pezzetto.
Pisciò a occhi chiusi. Sulla bocca un sorriso. Sulla testa un raggio di sole.
Mentre l'acqua calda riempiva il rubinetto si tolse la maglia del pigiama. Rimase a petto nudo a guardarsi allo specchio. Si vide in forma. Neanche un'ombra di stanchezza sotto gli occhi.
Solo i peli della barba erano un po' troppo lunghi. Ma per quello ci aveva già pensato.
Si rase con concentrazione, di pelo e contropelo, godendosi ogni singola passata del rasoio sulle guance. Gli venne in mente un suo compagno di corso dell'università. Come si chiamava?
Un giorno gli disse che la barba va rasata la mattina, quando la pelle è ancora morbida. La sera i muscoli della faccia si induriscono e la pelle si può irritare. Da quel giorno non si era mai più fatto la barba di sera, temendo chissà quali dissanguamenti. Quella mattina il rasoio funzionava bene. Come nelle pubblicità.
Quando passava e toglieva la schiuma la pelle, sotto, era proprio liscia.
Come si chiamava il suo compagno? L'acqua della doccia lavò via il pensiero, insieme alle dieci ore di sonno. Il telo opaco della doccia bloccava i raggi di sole che entravano dalla finestra del bagno.
Sentiva l'acqua fresca passare dai capelli e portare la pesca dello shampoo fino al buco del culo.
In quel momento era di acqua e pesca, totalmente schiavo del telefono della doccia.
Non poteva ricordarsi di quando sua madre lo lavava da piccolo, ma decise che la sensazione doveva essere senz'altro quella.
Si lavò accuratamente le orecchie e le ascelle sotto quel meraviglioso getto d'acqua. L'accappatoio lo avvolse come un morbido bozzolo. Mamma, sei ancora tu?
Si recò quasi danzando in terrazza, dove un meraviglioso sole lo aspettava. Era già quell'orario della mattina in cui la luce comincia a scaldare. Sentiva la pelle asciugarsi piano piano sulle guance lisce.
Una leggera brezza gli baciava le caviglie e per due due minuti se ne restò lì. D'altra parte, che fretta aveva?
Oggi era il re di se stesso, oggi poteva comandare il proprio tempo.
Vado a raccontarlo alle strade della domenica mattina quanto sono felice.
Accese il forno e andò in camera a vestirsi.
“Come sono belle le camicie appena lavate”, pensò la sua schiena.
Pane caldo e marmellata.
Ad ogni morso chiudeva gli occhi, assaporando ogni singolo momento di quell'orgia di sapori sotto al palato. Se anche il gusto era soddisfatto, che magnifica giornata sarebbe potuta diventare?
Erano soltanto le dieci meno un quarto di mattina e la giornata avrebbe potuto prendere pieghe ancor più interessanti. Ma la sua unica preoccupazione al momento era servire il proprio corpo. Era completamente immerso nei pensieri che non aveva.
Quell'insolita sensazione di felicità dentro la pancia, anziché diminuire, cresceva a ogni minuto.
Casa sua era piccolina. Se doveva pensare a casa sua se la immaginava d'inverno, quando i muri sono grigi dal freddo e le stanze sembrano ancora più piccole. Ma ora gli sembrava perfettamente naturale vedere i granelli di polvere scaldarsi nell'aria calda di un raggio di sole.
Casa sua gli parve bellissima.
Si lavò i denti passando lo spazzolino in tutti i modi che negli anni i vari dentisti gli avevano suggerito. Il suo preferito riempiva di minuscoli schizzi bianchi lo specchio.
Il pettine uccideva i pochi nodi dei suoi capelli lisci e gli faceva venire i brividi dietro alle orecchie.
I mocassini marroni si intonavano con la camicia azzurra.
Il collo era profumato.
Gli spiccioli per il caffè e l'aperitivo erano in tasca.
Le chiavi di casa salde in mano.
Bum!” disse la porta di casa incitata dal vento.


Si vide riflesso nella vetrina del supermercato chiuso. In sella alla sua Legnano sembrava un cavaliere. Il cavaliere più felice del mondo.
Le maniche della camicia tirate fino ai gomiti.
Il vento tra i peli delle braccia.
La mattina volgeva al caldo, ma la brezza da bicicletta stemperava l'alta temperatura. Sentiva le ascelle fresche. Ogni tanto l'ombra di un palazzo gli provocava piccoli brividi lungo la spina dorsale.
Aveva lasciato gli occhiali da sole a casa per godersi appieno le luci della domenica mattina. Non voleva nulla trai suoi sensi e il mondo.
Continuò a pedalare in direzione della piazza. La domenica mattina c'era sempre un gran fermento, tra la chiesa e il bar. Generalmente stava a letto fino a tardi, per recuperare il sonno che lasciava in ufficio ogni mattina. Ma finiva sempre che se ne stava in casa tutto il giorno davanti alla tv. Senza una doccia, senza una donna.
Non conosceva molta gente in paese. Il paese per lui era solo una scusa per dormirci. Lavorava in città.
Quella mattina tutto sembrava fatto apposta per lui. Si sentiva amico di chi non conosceva, poteva essere uno di loro.
“Se ti do la biglia di Bugno posso giocare a nascondino? Conto io.”
Incrociò una signora in bicicletta e senza accorgersene le sorrise. Le poche nuvole nel cielo servivano solamente a rendere più azzurro il resto. Una nuvola prese la forma di... di che cosa?
Pasqua 1978, il coniglietto di peluche dentro l'uovo. Una nuvola prese la forma di un coniglietto.
Da una finestra usciva una musica francese cantata da un italiano.
I pedali scivolavano leggeri sotto i mocassini.

Il bar è affollato. Mille voci si annodano tra loro, formando un sottofondo allegro e vivo. I diversi profumi da domenica lo colpiscono a raffica.
Eccoli gli amici mai incontrati.
Il bancone offre qualsiasi tipo di verdure e affettati immolati all'aperitivo. Sono solamente le undici di mattina, ma il bianco frizzante già scorre a fiumi.
Il bar è uno spettacolo di colori di aperitivi, crodini, cravatte e fiori sulle gonne.
Tu entra solo in un bar la domenica mattina e per forza la gente ti guarda. Devi saperla portare, la solitudine in un bar. E lui sapeva farlo.
Annuiva agli sguardi di quegli sconosciuti regalando sorrisi sinceri. Mica quelle cose tirate da fotografia. Erano i sorrisi che pescava tra le farfalle dello stomaco.
Sentiva la sua felicità rimbalzare sulle decine di braccia dentro a quel bar, e tornargli addosso come un dolce boomerang. Conquistò finalmente il bancone del bar. Alla sua sinistra la vetrinetta delle paste, alla sua destra un signore più o meno della sua età. Rideva con sconosciuti. Aveva una banconota in mano, un pezzo grosso. La barista gli stava dando le spalle. Tagliava cubetti di mortadella e lui non poté fare a meno di guardarle il culo.
Gli sembrava un piccolo cuore gonfio rovesciato. Una piccola scarica elettrica tra le cosce, il ricordo che vola da due ragazzi sdraiati in mezzo alla campagna. Nel ricordo tutto è rosso.
Quella volta però non era felice come quella mattina.
“Che cosa beve?”
Si accorse di avere gli occhi chiusi e un poco si vergognò.
Di fronte a lui ancora il culo. Non capiva.
“Si offende, se le offro da bere?”
La voce veniva da destra. Dall'uomo con la banconota.
Si girò e vide trentadue denti bianchissimi. Che sorriso.
“Davvero, beve qualcosa?”
Si rese conto solo qualche secondo dopo della situazione.
Era dentro un bar di domenica mattina, era l'uomo più felice del mondo e uno sconosciuto gli stava offrendo da bere. Lui in realtà era entrato con l'intento di bere un caffè. Fumare una sigaretta davanti al bar, magari.
“Buongiorno! Cosa le do?”
La voce graffiante della barista lo riempì.
Confusione.
Balbettò qualcosa, ma il signore sorridente lo salvò dall'imbarazzo.
“Campari e vino? Lo beve? Allora due Campari e vino, grazie!”
“Perfetto, arrivano subito!”
“E' già il terzo, se lo scopre mia moglie mi ammazza!”
Sorriso di rimando a quella battuta.
“Piacere, Claudio.” dissero quei trentadue denti bianchissimi.
“Piacere, sono ...”
“Ecco i Campari e vino!” La barista li interruppe con un sorriso in volto e due bicchieri in mano.
Il Claudio lo prese per un braccio con un gesto da amico di lunga data.
“Eccoli. Andiamo a sederci fuori, staremo più comodi.”
Era davvero una giornata speciale. Tutto era più colorato del solito fuori e dentro di lui. Un nuovo amico gli stava offrendo l'aperitivo.
Avrebbero parlato del campionato di calcio, dell'estate alle porte e di quelle cosce appena uscite da Messa. Si sarebbero trovati subito, quella giornata era nata così bene. Era felice. Perché non offrire anche a quel suo nuovo amico di nome Claudio un po' del suo bene? Di sicuro il secondo giro lo avrebbe pagato lui.
Claudio si sedette con naturalezza, senza impacci. Si vedeva che quello era un po' il suo regno. Come del resto lo era di tutta quella gente.
“Una bella sigaretta è proprio quello che ci vuole. Tu fumi? Oh, posso darti del tu, vero?”
“Ci mancherebbe altro! Comunque si, fumo. Anzi, avresti da accendere?”
Il Claudio gli porse il fuoco col gesto di chi ha acceso sigarette a qualunque ragazza. O di chi è tuo complice. Da lui poteva solo imparare.
La prima boccata di fumo insieme al primo sorso di alcol gli provocarono un leggerissimo capogiro.
Non fumava molto, qualche sigaretta dopo il caffè e i pasti. Ma quel giorno poteva concedersi qualche Diana in più.
Se per te oggi è festa, caro il mio Signore, beh, lo è anche per me.
Le goccioline del bicchiere tra le dita. Una sigaretta tra le labbra.
“E' strano vedere qualcuno da solo, al bar, la domenica mattina. Abiti qui?” la domanda del Claudio gli uscì dalla bocca insieme al fumo.
“Si, abito dietro al campo da calcio. La nuova zona residenziale, presente?”
“Si, certo.”
“Ci abito da un paio d'anni, ma lavorando in città finisce che ci dormo solamente.”
“E in città dove lavori?”
“In Regione. Due palle.”
“Non ti piace?”
“Ma si, alla fine ho studiato per quel tipo di lavoro. E' che è sempre tutto uguale.”
“Abiti solo?” Se divento troppo indiscreto mandami a cagare, senza remore! Tendo a farmi un sacco di affari degli altri!”
“No, tranquillo, non importa. Comunque si, abito da solo.”
Il loro tavolino all'ombra gli premetteva di godersi appieno la sigaretta e la conversazione. Era veramente una bella situazione. Come se Claudio fosse suo amico da sempre.
“E sei felice?”
Come quando la canicola di giugno ti porta due minuti di grandine. La domanda lo colpì in piena pancia. Certo che era felice. Come poteva non esserlo, in una mattina come quella?
Il Claudio, di fronte a lui, aspettava una risposta, sputando un po' di fumo.
“Se ti dico una cosa, prometti di non ridere?”
“Beh, certo che si.” gli rispose il Claudio. I denti sempre incorniciati in un sorriso sicuro.
“Vedi, stamattina mi sono svegliato bene, non so come dire. Felice. Ma tanto. Come un bambino.”
“Interessante. Vai avanti.”
“Ecco, è difficile da spiegare. Hai presente quando tutto sembra al suo posto e l'unico pensiero è decidere come riempire la giornata? Nello stesso tempo però sei sicuro al cento per cento che qualsiasi scelta tu faccia sia la migliore.”
Claudio sorrise.
“Lo so bene.”
“Oggi mi sento proprio l'uomo più felice del mondo. Scusa, per le divagazioni. Tu invece che fai?”
Claudio spense la sigaretta con una carezza, la piccola colonna di fumo si interruppe subito.
Ma come fa?
“Io non lavoro, io vivo bene. E sai perché? Perché sono io, l'uomo più felice del mondo.”
Un profumo di soffritto gli raggiunse il naso. Immaginava la signora che impaziente attendeva l'arrivo del resto della famiglia davanti ai fornelli.
“Ma dimmi una cosa.” continuò il Claudio interrompendosi per un sorso di Campari e vino. Lo aveva quasi finito.
“Tu di che categoria sei?”
Un cubetto di ghiaccio che sbatte contro l'incisivo.
“Scusa, Claudio. Credo di non aver capito.”
“Dicevo, di quale categoria?”
“Non capisco.”
“Di che categoria di felicità sei?”
La mano cominciava ad inumidirsi dentro la tasca. Trova l'accendino. Eri nascosto lì, allora.
“Ho capito. E' la prima volta.”
“Che?”
In quel momento le bollicine del vino cominciarono la loro scalata in direzione della parte occipitale del suo cranio. Scosse. Di cosa diavolo stava parlando il Claudio?
“Vedi, esistono diverse categorie di felicità. Si parte tutti dalla zero. E' una cosa abbastanza democratica, se ci pensi.”
Le scosse diventarono svarioni. La bocca del Claudio continuava a muoversi.
“Col passare del tempo, si ha la possibilità di scalare, queste categorie. L'ultima è la cento, ma per ora non ci è arrivato nessuno. Io ci sono quasi, sai. Novantotto.”
La sensazione di essere preso in giro si realizzò sotto forma di un sorriso tremolante sulle sue labbra. Il vino, come il gendarme che accompagna al boia, spingeva dolcemente quella sua smorfia.
“Che poi ci sono categorie che ne sbloccano altre. Per esempio, il bacio di una donna amata ti permette di raggiungere le emozioni delle attese interminabili, delle carezze, dell'amore fatto alla mattina o del panno che d'inverno copre la pelle sudata. Scatole cinesi. Ecco, la felicità sono cento scatole, una dentro l'altra.”
La mano continuava a giocare con l'accendino dentro la tasca. Lo afferrò forte e si accese la seconda sigaretta della giornata.
“Tu probabilmente sei alla quinta, forse sesta categoria. Sarai all'erba tagliata o gli uccellini che amoreggiano. Magari oggi ti sembra di aver già soddisfatto tutti e cinque i sensi.”
Un matto. Non stava scherzando, il Claudio. Era proprio matto. Uno di quei benestanti che si inventano questi giochetti per trovare gente che gli scopi la moglie davanti agli occhi. La sigaretta stava bruciando più in fretta del solito. Ma come diavolo faceva a sapere tutte quelle cose di lui?
“Scusami, sai. Tendo a straparlare, te l'ho detto. Forse ti ho spaventato. E' successo anche a me, la prima volta che mi son sentito davvero felice. Ne avevo quasi paura.”
“Scusa, ma proprio non ti seguo. Non sono abituato a bere di mattina!”
“Guarda, è semplice. La gente è convinta che la felicità sia una specie di nuvola che ogni tanto ti piove in testa. Senza forma, senza concretezza. Invece no. Non c'è nulla di più sistematico come la felicità.”
I tre aperitivi dovevano aver fatto sbroccare completamente quell'uomo ben vestito, così sicuro, così sorridente. La conversazione stava diventando tortuosa, piena di curve cieche. Però così interessante. Insomma, chi c'era a casa ad aspettarlo? Da quanto tempo non parlava di cose che non fossero conti e concorsi? Claudio doveva essere un tipo a posto. Semplicemente un po' troppo ubriaco.
“Ti spiace se te ne offro uno io, questa volta?”
“Ci mancherebbe altro. Però scusami, vado in bagno un momento. Pisciata trattenuta a lungo e poi mollata, categoria numero quattro.”
Guardò Claudio scomparire tra la gente e fermò la cameriera. Ordinò altri due Campari e vino e se ne restò a lasciare dondolare la sua testa sull'amaca del bianco frizzante.
Quelle parole gli avevano messo un sacco di pensieri, nonostante tutto. Solo alla sesta categoria? Dai, impossibile.
Sono stato felice in passato. La laurea, le promozioni sul lavoro. Quel tramonto in campagna. Nella sua testa tutto si colora di rosso. I due ragazzi sdraiati nella campagna non si parlano. Il sole sta calando. I contorni sono sfuocati.
Era la felicità quella? Insomma, la laurea l'aveva inseguita per otto lunghi anni e la scrivania in Regione era quella di suo padre. E quel tramonto?
Il profumo del Claudio arrivò seguito dal suo proprietario.
“Ah, è già arrivato. Brindisi!”
Non si era accorto che la cameriera aveva già appoggiato i bicchieri sul tavolo, insieme a delle patatine. Che figura. Aveva tenuto gli occhi chiusi tutto il tempo.
“Salute.” disse rivolto al suo sorridente partner di aperitivo. La gente di sicuro lo stava guardando con curiosità. Il forestiero che parla con Claudio, di sicuro lo stravagante del paese. E guarda quelle due lì. Un'altra leggera scossa dentro ai pantaloni.
“Sguardo malizioso ricambiato. Categoria diciassette!”
Che tipo Claudio. Ora il suo obiettivo era solo capire fin dove sarebbe potuto arrivare. Cos'altro avrebbe inventato.
“Probabilmente mi hai preso per scemo, ubriaco o fuori di testa. Forse ti ho spiegato troppe cose che giustamente dovresti scoprire piano piano. Però fa sempre piacere trovare persone felici davvero. Appena ti ho visto al bar ti ho notato subito. Quelli là dentro ridono per finta. Tu camminavi in un sorriso.”
“Beh, grazie.”
“Solo non capisco cos'è che ti blocchi.”
“Cioè?”
Claudio afferrò la fetta di arancia del bicchiere e se la portò alla bocca.
“Cos'è che ti blocca le categorie.”
Claudio succhiò forte dall'arancia.
“Insomma, sei giovane, ben vestito, economicamente indipendente. Non capisco che cosa ti blocchi in una categoria così bassa.”
Le patatine lo stavano salvando dal naufragio alcolico nello stomaco vuoto.
“Guarda, sinceramente non avevo mai considerato la felicità in questo modo. Però giuro che ci penserò seriamente d'ora in poi!”
“Ma io non sto mica scherzando, sai? Io parlo sul serio. E fermarsi un momento a pensare a sé stessi è un esercizio che bisogna fare, ogni tanto. Ma non nel senso del rasarsi o del bagnoschiuma alla pesca che ti carezza.”
“Come fai a sapere della pesca?”
“E' l'odore che fai.”
Claudio sorrise e alzò il bicchiere sempre più orfano del suo contenuto. Beveva davvero velocemente. Il suo sguardo si fece serio.
“Vedi, quando capisci cosa veramente non va, nella tua vita, allora si che puoi cominciare a costruire una controffensiva adeguata. Quando lo capisci, puoi riparare e ricostruire. Lasciatelo dire da me, che ci sono quasi.”
Il vino mischiato col Campari e con le parole di Claudio lo avevano zittito. Finì il suo bicchiere e lo appoggiò vicino all'altro vuoto. Si sentiva stordito. E non sapeva a chi dare la colpa di quella sensazione. Colpa?
“Accidenti, è già mezzogiorno. Devo andare a prendere mia moglie fuori dalla chiesa. Abbiamo il pranzo con la famiglia. E' il compleanno di mio figlio, oggi lo porto al maneggio. Facciamo un giro a cavallo, poi a giocare con gli aquiloni!”
“Bello. Io a cavallo non ci sono mai andato.”
“Dovresti. Quello ti sblocca la ventiquattro.”
Claudio si alzò. Sistemò le sigarette e l'accendino in tasca. Indossò gli occhiali da sole. Chissà dove li teneva.
“A proposito, tra una cosa e l'alta non ti ho neanche chiesto come ti chiami! Che figura...scusami!”
“Ah, già! Sono...”
“Anzi no, non dirmelo. Voglio riconoscerti solamente dalla felicità. Di sicuro ci incontreremo un'altra volta. Ci presenteremo ancora, per avere una scusa da festeggiare!”
“Facciamo così allora.”
“Però promettimi di essere già ad un livello più alto. Voglio almeno una categoria trenta, eh!”
“Ci proverò. E comunque in bocca lupo per la tua cento! A proposito, cosa succede quando arrivi alla cento?”
Claudio gli porse la mano.
“Stretta di mano di un nuovo amico. Dodici.”
“Non mi hai risposto.”
“Quando arriverò alla cento ti inviterò sicuramente alla festa. E' stato un piacere.”
“Anche per me.”
Guardò Claudio allontanarsi. La gente stava scappando a cuccia, a mangiare. La cameriera spazzava tutte le patatine uccise. Pagò, uscì dal bar e salì sulla Legnano.
“Portami a casa”, le disse.
I due ragazzi sdraiati in mezzo alla campagna non si guardano. Vicino a loro due birre finite, un pacchetto di Lido, fazzoletti pieni di lacrime. Un walk-men nero, una panno blu, il cielo rosso.
Lei si alza. Ormai non c'è più nulla da dirsi.
Comincia a camminare senza girarsi. La testa china in avanti. La sua schiena diventa sempre più piccola. Si porta un braccio al volto. Singhiozza.
E comincia a correre.


Aprì gli occhi ed era tutto buio. La lavanda era ancora lì, intorno a lui. Girò la testa verso la sveglia. I numeri luminosi dicevano ventuno. Si alzò e rimase seduto sul bordo del letto. Si accorse di essere in mutande. I vestiti sparsi in terra.
Il bar, le voci, il Campari, Claudio.
Non aveva neppure pranzato. Un brontolio dalla pancia glielo ricordò. Rimase lì in attesa. Di che cosa non lo sapeva. Forse che gli effetti del sonno pomeridiano lo lasciassero libero.
Qualche immagine della mattinata ogni tanto lo raggiungeva.
Ma non aveva voglia di alzarsi. Stava lì, seduto.
Fuori il sole era già scomparso. Gli uccellini non cantavano più. A dire il vero c'era solo il silenzio.
La pancia brontolò nuovamente.
Una sirena lontana, chissà chi porti, chissà dove vai.
Chiuse gli occhi e vide tutto rosso.
“Abbracciami forte, mamma.”
Dagli occhi, cento lacrime.




2 commenti:

  1. cercare su google "fumetto relatore tesi coniglio volpi"... e trovare un racconto delizioso! grazie!

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    1. ma coniglio volpi è il nome dei relatori? :)
      grazie mille a te, anonimo amico!

      stay tuned!

      Simone

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